Tragedia a Lampedusa
Ovunque volgiamo lo sguardo o tendiamo le orecchie, in questo periodo, non facciamo altro che guardare e sentire il dolore del sogno, infrantosi in prossimità delle sabbiose spiagge lampedusane, dei nostri disgraziati fratelli africani.
Leggiamo e riflettiamo su articoli dogni dove, intrisi di rabbia, dimpotenza, di denuncia da parte di noi tutti, solidali uomini dOccidente. Partecipiamo attivamente ad immagini televisive e notizie dellultima ora a volte anche distorte. Condividiamo link sottraendoli alle pagine Facebook notoriamente dedite ai bisogni del mondo.
Tutto questo, per sentirci sensibilmente empatici al cospetto di tragedie umane accompagnate dallamaro suono di cupi e fatali rintocchi di campane.Organizziamo in fiaccolata lunghi cortei silenziosi per non dimenticare, con lillusione di poter veramente abbracciare e solidarizzare con il dolore diretto degli immigrati e quello indiretto, ma pur sempre testimone vivo, degli isolani di Lampedusa, per far sì che Mare Nostrum, bacino di vita e di fratellanza, non si stigmatizzi, col perdurare delle tragedie conseguenti ai Viaggi della Speranza, in un Mare Monstrum.
Accogliamo e facciamo nostre, attraverso le pagine di Pantelleria Internet, le parole del nostro Sindaco Salvatore Gino Gabriele, le sue riflessioni di vicinanza e di appartenenza al genere umano, la sua esortazione ad unirci alla preghiera di Papa Francesco e a rivolgerci alla speranza. Ma, come egli stesso asserisce, LE PAROLE purtroppo NON BASTANO; e neanche la momentanea condivisione del dolore, ormai divenuta troppo sterile nel suo ripetersi.Ben vengano questi slanci umanitari, quando indotti dal cuore e sono certa che una parte della promozione della causa sia ben degna di essere apprezzata -, piuttosto che legati a doverosa pressione sociale, tralasciando lautentico movente filantropico.
Fin quando, nella vita dogni giorno, avremo la presunzione di appartenere solo e soltanto noi al nostro Paese, guardando ai nostri fratelli come fossero usurpatori di un Regno Inaccessibile, potremo dire di aver fallito in toto; e a niente saranno valsi tutti i tentativi di coinvolgimento emotivo e di aiuto fattivo nei loro confronti, se i nostri cuori continueranno ad essere corrosi dal tarlo della superiorità.
Quando si tratta di extracomunitari, nella realtà vera, volgiamo la nostra attenzione quasi unicamente ad episodi eclatanti transitori, senza quindi mai soffermarci con premura sullavvenire di queste vite con la medesima attenzione che dedichiamo alla nostra sorte. Vite assetate di rivalsa e di oasi di pace, lontane dallarido deserto della Vita; vite alla ricerca di una semplice serenità, la quale finanche estranea a noi, persone di uno stesso paese e continente.
Quanti di noi, chiedo ancora, sono in grado di comprendere appieno il carico di incertezze, turbamenti, inquietudini e fallimenti dei nostri fratelli?Nellattualità del nostro Paese, intriso, in ogni suo angolo, di crisi dogni valore, dovremmo essere maggiormente inclini ad empatizzare con lAltro, nel suo vestito di Bisogno, nelle sue scarpe di Miseria, nella sua Vita dIndigenza; e, ancor prima, solidarizzare col nostro Vicino, per poi espandere e regalare caldo cibo e preziosi indumenti di vita a quanti ci appaiono lontanissimi, pur geograficamente più vicini di altri.