Architettura tipica dell'isola di Pantelleria


L'architettura tipica dell'isola rappresenta, nella sua sapienza, un patrimonio edilizio di rara portata, di evidente eredità araba, ancora una volta emblema del desiderio del pantesco di un equilibrio di intesa con la sua terra, in questo caso, particolarmente aspra e indomabile.

Non a caso i primi dammusi di cui abbiamo notizia, risalenti a circa 1000 anni fa e frutto della precedente dominazione araba sono stati riscontrati in una cornice naturale che ne esalta l'essenza e la funzionalità. Capaci, al loro interno, di creare un ambiente in grado di mantenere un microclima costante, tiepido d'inverno e fresco d'estate.

Con le sue innumerevoli costruzioni che danno al paesaggio un'impronta del tutto ineguagliabile, Pantelleria presenta un sistema di tecnica costruttiva molto laborioso, che negli ultimi tre secoli ha richiesto necessariamente la perizia e l'esperienza dei panteschi, che hanno saputo differenziarsi da recenti e sbrigative tecniche costruttive utilizzando materiali poveri e facilmente reperibili, come il tufo e la pietra lavica (pantellerite) di immediato utilizzo.

Il Dammuso, infatti, parola di etimologia araba, si caratterizza per la sua costruzione in pietra locale vulcanica a secco. Dal punto di vista formale e strutturale, si tratta di una costruzione dal tetto a cupola che sorregge su mura perimetrali portanti composte da pietre che spesso vengono prelevate dal terreno circostante.

sezione, prospetto dammuso

La volta di copertura, a botte o a lunetta, in seguito alle dovute procedure d'incatenamento, per evitare qualsiasi dissesto, viene ricoperta con tufo e calce. La tipologia geometrica più antica di volta risulta essere quella a botte, quindi più allungata, scaricando il peso sulla muratura longitudinale; mentre, la volta reale costituita da quattro spicchi converge in un unico punto centrale della stanza; infine la volta a lunetta, con i suoi quattro archi, si riversa sui quattro angoli.

Una volta ultimata l'incatenatura della volta, essa viene ricoperta in malta di tufo e calce e battuta in modo da comporre un sottile strato resistente.
Questa particolare definizione del tetto è stata scrupolosamente studiata nella sua razionalità al fine della raccolta delle sporadiche piogge invernali, utilizzandole attraverso un canale di raccoglimento, che confluisce nella sottostante cisterna, per la resa produttiva del terreno nonchè per le necessarie esigenze domestiche.

Per quanto riguarda gli interni, il dammuso si compone di tre vani: una camera principale "la cammera" che comunica direttamente con il camerino, e "l'alcova" la cui apertura si presenta nella caratteristica circolarità del suo arco.
La cosiddetta "cammera", lo spazio abitativo più ampio, svolgeva la funzione di riunione e ritrovo per tutti i componenti della famiglia, nelle ore diurne; il camerino, provvisto di una porta che lo separa dal resto dell'abitazione, costituiva il ristretto spazio riservato ai figli. Mentre "l'alcova", camera matrimoniale, aperta sulla sala ritrova intimità notturna grazie ad un tendaggio in tessuto spesso di colore bianco.

pianta dammuso

Ciò che salta all'occhio soffermandoci ad osservare un dammuso dall'esterno, è la mancanza di ampie aperture, quasi a voler definire un proprio spazio interno di difesa, connotazione dell'indole necessariamente diffidente del pantesco, a causa della sua continua e inevitabile sottomissione alle civiltà che via via si sono susseguite nei secoli.

Volgendo lo sguardo nelle zone circostanti, ci si accorge della presenza di elementi che supportano le attività quotidiane: "a pila" realizzata in pietra lisciata con scalmanature per lo sfregamento dei panni da lavare; "u furno" rivestito in pietra la cui bocca è coperta da una botola in legno, utilizzato per la preparazioni dei cibi di sussistenza; "u furniddro" su cui venivano cotti i cibi, utilizzando il fuoco in mancanza di gas; "u passiature" luogo immediatamente esterno al dammuso caratterizzato da una pavimentazione in balate, malta o mattoni in terra cotta e delimitato dalla ducchena, sedile in pietra sul quale spesso si stendevano ad essiccare i prodotti della terra.

Altre strutture nei pressi del nucleo centrale erano: "l'aia 1", "u stinnituri 2", "u jardino", "u sardine 3", "u macasenu 4", "u zacchino 5".

I muretti a secco
Le motivazioni che hanno indotto i Panteschi a costruire una quantità enorme di muretti a secco possono essere chiarite alla luce della consistente presenza di pietra vulcanica sul territorio. La necessità di coltivare quanto più terreno possibile ha spinto gli agricoltori ad ammassare le pietre bonificando il terreno e, non disponendo sufficientemente di zone pianeggianti, a livellare le pendenze e i dislivelli.

Le pietre, che inizialmente hanno costituito un ostacolo alla coltivazione della terra, sono diventate gradualmente utili strumenti per la delimitazione dei confini permettendo lo sfruttamento dei ristretti lembi di terreno ai lati delle colline, altrimenti inutilizzabili.

Presenti in tutta l'isola, essi caratterizzano l'aspetto del paesaggio contadino, apparendo ora come merletti di rifinitura ora come fortificazioni imponenti dando così origine ai famosi terrazzamenti.

Frutto dell'arte meticolosa e scrupolosa dei contadini, sono costruiti senza l'uso di malte; le pietre, accuratamente smussate e rese regolari sono incastrate come pezzi di un grande mosaico.

I giardini Panteschi

giardino Pantesco dall'alto

Realizzati con grande fatica dai contadini del luogo allo scopo di proteggere gli alberi da frutto dai forti venti che soffiano sull'isola, hanno una caratteristica forma circolare e si distinguono nei loro muri a secco realizzati secondo la tecnica costruttiva isolana detta "a casciata".

Le mura raggiungono una altezza di circa 4 metri, il bordo superiore è appositamente assottigliato e inclinato verso l'interno, permettendo ai raggi solari di rinvigorire l'albero.
Privi di aperture e dalla forma tronco-conica, consentono l'accesso da una porticina alta circa 60/70 cm che costringe il visitatore a prostrarsi davanti al prezioso albero d'agrumi custodito gelosamente al suo interno.

Le prime realizzazioni di giardini panteschi risalgono probabilmente al periodo della dominazione araba.
Le cisterne
Fin dall'antichità, gli abitanti dell'isola cominciarono a realizzare dei contenitori per far sì che vi convogliasse l'acqua piovana: le cisterne edificate sotto terra e rese impermeabili attraverso una tecnica costruttiva soggetta a perfezionamenti già in età punica.

Tale esigenza è legata alla preoccupazione degli abitanti di non poter usufruire di abbondante acqua piovana in un territorio caratterizzato, dal punto di vista idrogeologico e climatico-ambientale, da scarsità di piogge.

Esistono due tipi di cisterne: cisterna campanulata, con pianta ellittica e sezione a bottiglia, tipica del periodo fenicio-punico; cisterna a volta, caratterizzata dalla tecnica ad arco, di incerta derivazione.

La cisterna ha fin da subito rappresentato una sorta di integrazione armonica con l'abitato pantesco e ciò lo si denota maggiormente nella sua sinuosa copertura a volta e nel suo rivestimento in battuto di tufo impermeabilizzato.
  1. "l'aia", piano circolare, dal diametro di circa 4 metri e delimitato da bassi muretti, con l'ausilio di un asino, veniva utilizzata per la macinazione dell'orzo e del grano;
  2. "u stinniture", tipico dei dammusi più grandi o appartenenti a famiglie possidenti, era adibito all'essiccazione dello zibibbo per la realizzazione dell'uva passa, ingrediente principe del passito;
  3. "i sarduni", locali utilizzati come stalle per animali quali il mulo o l'asino;
  4. "i macasena", magazzini dove venivano depositate le scorte di cibo, dal frumento ai capperi, ed i relativi attrezzi agricoli; un apposito magazzino era riservato per la produzione e la conservazione del vino e delle botti.
  5. "u zacchino" porcilaia, destinata ai maiali e riconoscibile per la presenza, al suo interno, di una pila, contenitore per cibo scavato nella pietra.