Cenni Storici Pantelleria

Pagina a cura di Caterina Culoma

Pantelleria fu molto probabilmente disabitata nell'età del Paleolitico, per la sua distanza dalla terraferma, alla quale non fu mai unita, diversamente da Malta, neanche in ere geologiche molto antiche.

I Sesioti

pianta sese

I primi abitatori di cui sia rimasta traccia furono il popolo che ci ha lasciato quegli stupendi ed unici monumenti funerari, i Sesi, la cui etimologia è ancora incerta. Questa popolazione, i Sesioti, sbarcarono sull'isola probabilmente circa 5.000 anni fa nella località di Mursia, partendo dalla Kelibia, ma erano appartenenti ai primitivi Libici, originari del Mediterraneo orientale. I Sesioti costruirono, in località chiamata Cimillìa, un villaggio a strapiombo sul mare e fortificato sulla terra da un imponente muro alto circa otto metri, con spessore alla base di circa dieci metri. I Sesioti costruirono anche una particolare necropoli, delle tombe megalitiche, di forma emisferica, costituite da vari cunicoli, denominati thelos, i quali confluiscono ognuno nella propria cella, di forma circolare. Dalla cui documentazione di Paolo Orsi sappiamo che i sesi erano molti, una sessantina, tra questi il più grande è stato denominato il Sese Grande o Sese del Re. Doveva essere il sese dei regnanti, dato che è il monumento più maestoso, che contiene il maggior numero di celle, dodici, con dodici ingressi. Di queste costruzioni a pianta ellittica ci sono rimasti resti delle pareti in muratura. Sempre grazie alle testimonianze raccolte da Paolo Orsi, siamo a conoscenza che i Sesioti erano esportatori di manufatti di ossidiana, "l'oro nero", e non usarono mai i metalli.

sese pantesco dal basso

La fine dei Sesioti resta un vero mistero. È certo che con il tramonto dell'ossidiana, con l'avvento dei metalli, la fortuna di questo popolo dovette declinare. Secondo la leggenda, i Sesioti furono massacrati da un altro popolo invasore, il quale vinse la battaglia ma perse la guerra in quanto, a seguito del massacro, si sviluppò una spaventosa epidemia, che fece sterminio dei vinti e dei vincitori. Tre la scomparsa dei Sesioti e la comparsa dei Fenici intercorrono lunghi secoli di buio fitto e di ermetico silenzio.

I Cartaginesi e Cossyra
Malgrado le conoscenze sull'occupazione fenicia e cartaginese di Pantelleria siano al momento insufficienti, tuttavia, anche in virtù dei dati provenienti dal mare, è possibile avanzare alcune riflessioni. È ovvio pensare che Pantelleria fosse stato un punto di appoggio di importanza primaria nella navigazione tra l'Africa e la Sicilia non soltanto per la sua posizione strategica, intermedia nel Canale di Sicilia, quindi, essenziale per le relazioni commerciali, ma anche strategica, dopo che i Greci affermarono la loro potenza nel Mediterraneo centrale, poichè il movimento delle flotte tra Oriente ed Occidente doveva necessariamente passare per il Canale di Sicilia, e Pantelleria consentiva di esercitare un efficace controllo nel centro del Canale. Pantelleria, denominata dai Cartaginesi Cossyra, assolse ai due compiti di caposaldo militare e base per i commerci dei Cartaginesi. Ma le caratteristiche dell'isola e, soprattutto, la sua cospicua superficie, ne fecero anche un'occasione di colonizzazione.

Pantelleria, nel momento dell'apogeo militare e commerciale di Cartagine, divenne una sorta di "periferia" della metropoli nord-africana che non soltanto assolveva ai compiti di base commerciale e militare, ma anche ai compiti di luogo di produzione e di mercato. I reperti archeologici dell'acropoli di San Marco e del tempio, sito nel Lago di Venere, testimoniano lo splendore della prospera e ricca Cossyra, uno splendore che mai più sarà raggiunto in altre epoche. Geniale dovette essere la costruzione del porto, che s'addentrava nella terraferma, più di quello attuale; una traccia ci rimane nella cosiddetta "scogliera cartaginese". L'abitato più vasto era situato sulle colline di Santa Teresa e di San Marco, su cui sorgeva l'acropoli. I resti salvati e conservati sono pochi a causa dello sconvolgimento dei secoli e dell'incuria: resti di cinte murarie, cisterne a campana intonacate con "cocciopesto", frammenti di pavimentazioni musive, nel tempio del lago è stata ritrovata una nicchia quadrata ed un resto di capitello corinzio. Invece, sono numerose le monete battute da Cossyra, così numerose che gli studiosi hanno suddiviso tre serie dell'emissione fenicia:

  1. Prima serie o serie antica: la cui fattura è eccellente. Sul rovescio è impressa una corona d'alloro, contornata da un circolo di punti che costituisce un'orlatura, su cui compare la legenda YRNM.
  2. Seconda serie : l'effigie è leggermente diversa, il volto della dea Tanit posta lateralmente ha l'acconciatura disfatta.
  3. Terza serie o serie della vittoria: denominate così perchè questa serie venne battuta in seguito ad una vittoria militare. Sull'effigie di questa moneta compare una minivittoria che porge, protesa verso il capo della dea, la corona del trionfo alla dea Tanit, dea di Cossyra.

Il ruolo strategico, importante per l'isola, si evince dal fatto che la ritroviamo citata quale preda ora dei Romani ora nuovamente dei Cartaginesi. La sua posizione centrale sia geografica sia politica ne determina il ruolo preminente nello scacchiere mediterraneo. È nella seconda metà del III secolo a.C. quando il conflitto tra Roma e Cartagine si fa più acuto, soprattutto sulle vicende militari combattute sul mare.

I Romani
Nel 256 a.C. i consoli Marco Attilio Regolo e Lucio Manlio Valsone al comando di una flotta di 330 navi si dirigono verso l'Africa, dopo aver imbarcato a Eknomon (oggi, Licata) un esercito di 40000 uomini 1. Essi si scontrarono con la flotta cartaginese di 350 navi. I Cartaginesi perdono ed i Romani possono sbarcare sulla punta di Capo Bon, a Clupea. Invece di concludere la pace, continuano la battaglia senza attendere i rinforzi cosicchè la cavalleria cartaginese parte alla rivalsa, catturando più di 2000 uomini romani. Nel 254 a.C. i consoli romani Servio Fulvio Nobiliare e Marco Emilio Paolo preparano una spedizione di soccorso, occupano Cossyra e recuperano i resti di una parte dell'esercito, ma al ritorno la flotta è distrutta da un tempesta. I fasti trionfali romani celebrano la vittoria dei succitati consoli: "...de cossurensibus et Phoenis navalem egit...". Da quel momento Pantelleria passò definitivamente sotto il dominio romano iniziando quello che gli archeologi contemporaneiconsiderano il periodo più felice della storia di Pantelleria. Ne è testimonianza la notevole ricchezza dell'insediamento nelle varie contrade dell'isola. Probabilmente, Pantelleria vide crescere una sua flotta commerciale grazie all'esistenza sull'isola di una intraprendente schiera di commercianti-armatori che trassero grande vantaggio dalla posizione strategica sul Canale di Sicilia. In seguito alle ultime ricerche archeologiche condotte sull'acropoli di San Marco nel corso del 2003, sono state ritrovate dimore rustiche adornate da mosaici e decorazioni scultoree. Tale periodo di floridezza dovette durare fino alla fine dell'impero romano. Da importanti scavi archeologici che risalgono al 2002-2003, condotti dalla Soprintendenza ai BB.CC. di Trapani, dall'Università tedesca di Greifswald e di Tubingen, coadiuvate da alcune Università italiane, come quella di Parma e di Bologna, sono stati ritrovati sulla collina di San Marco tre reperti archeologici di notevolissima importanza: tre ritratti marmorei di Caius Julius Caesar, Antonia Minor, Titus Flavius Vespasianus. Questi ritratti imperiali raffigurano rispettivamente Giulio Cesare, Antonia Minore e Tito, e sono stati ritrovati all'interno di due cisterne di epoca punica situate sulla suddetta acropoli.

I Vandali
In seguito, le turbolenze che iniziarono ad offuscare il Mediterraneo non risparmiarono neanche Pantelleria, difatti i Vandali occuparono l'isola senza lasciarvi, però, alcuna traccia.

I Bizantini
Nell'anno 551, i Bizantini passarono dall'Africa alla conquista della Sicilia e delle sue isole, tra cui Pantelleria. Il periodo bizantino fu un periodo di stabilità sia sociale sia economico, che durò per circa un secolo. Rifioriscono le attività agricole, artigianali e commerciali, il denaro ritorna a circolare, iniziarono anche delle opere di fortificazione data la posizione strategica dell'isola. I Bizantini fondarono sull'isola un monastero di monaci greci dell'ordine basiliano, ed importarono anche i riti ed i diritti greci ("alla grecaria"), di cui resta traccia in atti notarili fino agli inizi del secolo.

Gli Arabi
La dominazione araba ebbe inizio nell'anno 827, quando sbarcarono sull'isola, e la leggenda narra che sbarcarono per la prima volta a Balata dei Turchi. la cui toponomastica è tuttora araba: Khanìa2 , Khamma3, Karuçia4, Rakale5, Gibele6.
giardino pantesco Gli Arabi riorganizzarono l'intera economia pantesca con l'introduzione di nuovi metodi agricoli e nuove colture come il cotone, gli agrumi (arance e limoni), la canna da zucchero, il gelso e forse anche lo zibibbo. In tal modo avviarono al ripopolamento delle campagne, Gli Arabi introdussero nuove tecniche di irrigazione e di canalizzazione delle acque, come ci testimoniano le parole che le denominano: "favara"= sorgente, "ghebbia"= grande vasca, "zotta"= pozza d'acqua. In ambito prettamente linguistico, oltre ai toponimi, alla terminologia dell'agricoltura e dell'irrigazione, i vocaboli arabi accolti nel dantesco riguardano anche la cultura alimentare, gli arnesi e vasellami: "balata" = lastra di pietra, che serviva per chiudere la bocca del forno di pietra; "gghiuggiulena" = sesamo; ed infine "hamiari" = riscaldare il forno, è una particolarità fonetica quella di rendere con /h/ la consonante iniziale e che si produce con una forte emissione di fiato a livello della faringe e dell'ugola. Un'altra parola araba tipica di Pantelleria è "dammusu", parola con cui si denomina la costruzione tipica pantesca, costruzione a cubo di origine araba con il tetto a cupola, la cui forma serve per incanalare l'acqua sul tetto ed, attraverso "a canallata", trasportarla nella cisterna.
 
I Normanni e gli Svevi
Tra il 1125 ed il 1148 i Normanni sbarcarono a Pantelleria, sotto il loro dominio pur con grande tolleranza, si invertì il ruolo tra musulmani e cristiani, che divennero i padroni di casa. Federico II di Svevia (figlio di Costanza d'Altavilla ed Enrico VI di Svevia) firmerà col sovrano di Tunisi un compromesso per la spartizione dei tributi riscossi sull'isola, e verrà nominato un prefetto musulmano con giurisdizione separata dai cristiani.

Gli Angioini
Dopo la fine della casa Sveva, il Papa assegnò il Regno di Sicilia a Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia, che effettivamente prese il potere dopo la battaglia di Benevento del 1266, in cui Manfredi, figlio di Federico II venne sconfitto. Nonostante la dominazione angioina fosse stata breve, difatti si concluse con la rivoluzione del Vespro nel 1282, gli Angioini fecero sentire la stretta fiscale a Pantelleria con dei pesanti tributi di tipo forfettario.

Gli Aragonesi.
Gli Aragonesi sbarcarono a Pantelleria dopo la pace di Caltabellotta, ed insieme ad essi giunsero anche un gruppo di capitani e di notabili di origine catalana, di cui rimane nell'isola il ricordo in un toponimo Cuddia Catalana. La dominazione spagnola, prima aragonese, poi catalana ed infine, castigliana, durerà a lungo in tutta la Sicilia, fino alla stipulazione dei trattati di Utrecht (1713) e di Rastadt (1714), con cui la Sicilia viene assegnata ai Savoia. Siamo a conoscenza che nel 1395 sia scoppiata una rivolta antiaragonese nella Valle di Mazara, in cui il genovese Giovanni Bernabò di S. Labaro Squarciafio "s'insignorisce" dell'isola di Pantelleria, un colpo di mano che viene successivamente legalizzato dal re Martino, concedendogli l'isola in feudo. Pantelleria ritornerà alla corona aragonese dopo l'assassinio del Bernabò, accusato di malefatti. Da alcuni documenti siamo a conoscenza che il feudo rinacque a Pantelleria con un privilegio datato Novembre 1421, redatto dal re Alfonso il Magnanimo, che concede l'isola al Valenzano Francesco de Belvis. Sempre da questi documenti, oggi conservati nell'Archivio del Reino de Valencia, sappiamo che nel 1491 la famiglia de Belvis vende il feudo ai Requiesenz di Palermo, cui apparterrà come principato fino all'abolizione della feudalità.

I Turchi
A causa dell'assenteismo del governo centrale e della non residenza dei feudatari sull'isola, la sicurezza militare era alquanto precaria, cosicchè nel 1550 un'incursione dei Turchi si concluse con saccheggi e gravi distruzioni, che divennero più acri nel 1556, quando il corsaro Dragut mise a ferro e fuoco tutta l'isola e trasse in schiavitù più di mille persone. Dopo questi eventi tragici, gli Spagnoli inviarono dei capitani d'armi per organizzare la difesa dell'isola e per presiederla con milizie soltanto spagnole. Molti di questi si stabilirono a Pantelleria mettendo radici, difatti furono i capostipiti di parecchie famiglie tuttora presenti come ci testimoniano gli antroponimi: Errera, Ferrandes, Ferreri Garsia, Gutterez, Lo Pinto.

I Borboni
Nel 1734 Carlo III di Borbone diventa re di Napoli e della Sicilia. L'impatto dei Borbone con Pantelleria fu drammatico e burrascoso: questa volta i panteschi (forse per la prima volta) reagiscono agli invasori, con una resistenza del Castello "Barbacane". Le condizioni di isolamento ritardarono l'influsso delle idee liberali ed il risveglio della coscienza nazionale, gli unici ad avere un ruolo a questo riguardo furono i confinati politici ed i marinai panteschi. Agli albori del governo borbonico la situazione dell'isola era disastrosa: circa 4.500 persone vivevano di agricoltura povera, ridotta ai terreni in prossimità del centro, per la paura dei pirati, i rifornimenti erano scarsi dato che non approdavano grandi barche perchè il porto era quasi inesistente, e la già magra economia era soffocata dai dazi feudali (D'Aietti 1978). In questo clima si verificò la rivolta popolare del 1820, che secondo le fonti del tempo non fu causata dal movente politico bensì dalla fame e dalla rabbia che sfociò in veri saccheggi: vennero incendiati anche il municipio ed i registri dell'anagrafe. Anno cruciale per l'isola fu il 1837, quando un'epidemia di colera sbarcò sull'isola, flagellando tantissimi panteschi, al punto da ricorrere alla costruzione di un cimitero apposito nella località dell'Arenella. In coincidenza dei moti rivoluzionari del 1848, si ebbe sull'isola un periodo di rivolte, per le quali si instaurò il 26 Marzo 1848 un comitato provvisorio per l'amministrazione formato da quaranta membri e poi, successivamente, trasformato in Consiglio Civico con incarichi di governo.

L'annessione al Regno d'Italia
Anche nel 1860 si ebbero nuovi disordini, che furono maggiormente aggravati dal fenomeno del brigantaggio. Un gruppo di giovani, che volevano sottrarsi dal servizio di leva, quest briganti si nascondevano in una insospettabile grotta sullo scosceso versante Sud – Ovest della Montagna Grande, da cui prese il nome "Grotta dei Briganti". Alla fine, furono ritrovati e furono tutti condannati, dieci furono condannati alla pena di morte o ai lavori forzati. Durante gli ultimi anni dell'Ottocento le condizioni dell'isola diventarono più floride grazie all'incremento della coltivazione dello zibibbo e grazie all'abolizione degli abusi feudali. Segno di ripresa sociale sono la costruzione di nuove scuole, l'istituzione dei circoli e la Società Operaia di Mutuo Soccorso, la prima che si costituì nella provincia di Trapani.

Il fascismo
Durante il Fascismo, in previsione dello scoppio di un conflitto, si valorizzò la posizione strategica di Pantelleria, costruendo ulteriori fortificazioni, ma soprattutto è proprio durante il Fascismo che viene costruito l'aeroporto dell'isola. Il fervore dei lavori movimentò la vita e l'economia pantesca, portandovi quasi 10.000 uomini, alcuni dei quali vi si stabilirono definitivamente.

La seconda guerra mondiale
Data cruciale fu l'8 Maggio 1943, quando Pantelleria entrò nel vivo del conflitto mondiale, o meglio quando venne bombardata dalle "fortezze volanti" anglo-americane, contro cui si disponeva di un'artiglieria inadeguata ed insufficiente. Recentemente è stato condotta una ricerca sul campo relativa al bombardamento di Pantelleria, condotta dal prof. Marco Belogi, docente di storia militare all'Istituto Geografico Militare di Firenze, in cui si è studiato il tipo di bombardamento, le postazioni militari, anche l'analisi del terreno sperimentata dagli anglo-americani. Il martellante bombardamento, che durò dal 18 Maggio all'11 Giugno 1943, delle forze armate degli Alleati sull'isola di Pantelleria (definita da Mussolini "il paracarro d'Italia"), seguito dallo sbarco e dalla conseguente resa della guarnigione italiana, costituì, nel grande dramma della Seconda Guerra Mondiale, un episodio apparentemente marginale. L'importanza dell'operazione militare (in codice "Cavatappi"), costituì per gli Alleati un vero punto di svolta, in cui sperimentarono nuove tecniche di bombardamento. Alla fine della guerra la situazione dell'isola è disastrosa: circa l'80% del centro urbano era stato distrutto, come ci testimoniano le foto del tempo, ed i vigneti di tutta l'isola erano gravemente danneggiati. La ricostruzione è stata molto lenta e difficile, a causa delle precarie condizioni economiche lasciate dalla guerra, ed avendo come unica e sola risorsa le braccia ed i costanti sacrifici dei Panteschi.
  1. Cfr. Regione Siciliana, Pantellerian Ware 2003.
  2. Khanìa: come sic. (a Bivona AG) haneia "arco che mette in comunicazione due abitazioni, sovrastato anch'esso da vani abitati, sotto il quale passa una strada" (VS), deriva dall'arabo hαaniyyah "arco" vedasi Caracausi, Arabismi medievali di Sicilia (171-172)
  3. Khamma: Caracausi 1993 documenta il lemma ( I, 819), la cui etimologia era stata approntata da DGreg-Seyb (236) : deriva dall'arabo qam'ah "luogo sempre all'ombra", oppure da hαammah o hãmmah "bagno", attestato da Caracausi come etimo esatto.
  4. Kharùscia vedi Karùscia: Caracausi 1993 documenta il lemma (819) la cui etimologia risulta incerta: secondo DGreg-Seyb (236) le forme Kruscia, Karucia derivano forse dall'arabo huruš "legno, foresta".
  5. Rekhale: Caracausi 1993 non documenta questo lemma neanche nelle altre varianti linguistiche presenti sull'Isola, quali Rakhale, Rrakhale.
  6. Gibele: Caracausi 1993 documenta il lemma (I 720-721) la cui etimologia è dallarabo gabal "monte".