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Grazie Gianni ...

Quando il teatro diventa chiara testimonianza di vita, mescolata all’indispensabile finzione che ne caratterizza la qualità artistica, le emozioni dello spettatore si accorpano in una danza libera e seducente che, in un solo abbraccio, riesce a recuperare l’antico e il nuovo. Questo il senso del fare teatro per l’animo di Gianni Bernardo, apparentemente “ombroso” e “n’sitatu supra u sarvagghiu” per chi non lo conosce, per la sua propensione ad essere solingo, ma solare, disteso e schietto nell’ambiente che più gli è proprio. Al di là di ogni superflua ed insignificante considerazione personale, Gianni è stato in grado di far esplodere il palcoscenico nelle perlustrazioni e nei viaggi di ricerca e d’indagine antropologica del proprio mondo isolano, scrutandone e analizzandone l’agire individuale e collettivo, che sembra chiaramente seguire la filosofia del “Minnifutto!”. 


Un penetrante ed incisivo solco nel passato il suo, per ritrovare un universo pantesco ormai smarrito, corrotto dalla “ugualizzazione” alla vita metropolitana: una comunità isolana che, piuttosto che dar valentia al proprio tesoro storico-culturale, si va sgretolando nel pensiero omologante, tralasciando la spaziosa capienza indigena dalla quale poter attingere per sentirsi veramente unica, riponendo in un cantuccio quella fastidiosa presunzione che quasi sempre la contraddistingue. La graffiante rappresentazione di Gianni, indiscutibilmente retta da prerogative teatrali di formazione sociale e culturale, non vuol avere altro che la finalità efficace di un risveglio collettivo, un’esortazione a prendere coscienza di quanto accade nella nostra terra, una sollecitazione - com’egli stesso ha pronunciato - ad “incazzarci” per le cose che non vanno, pur nell’amara consapevolezza che il popolo pantesco non possa essere smosso “mancu di’ bumme!”. 

In un dinamismo da palcoscenico che ha saputo coinvolgere in pieno gli spettatori presenti, lo svolgersi di veloci ma significative scene coadiuvanti alla comprensione del messaggio hanno di certo insaporito una fatica che, seppure a tratti raccordata a pezzi “deja vu”, è risultata essere di estrema originalità. Nella carrellata di tradizioni, feste patronali e manifestazioni ormai estinte, alcune delle quali sorrette da emozionanti filmati, è vivo, in Gianni, il rimpianto del tempo che fu; e, nel suo velato vagheggiare la vita bucolica, semplice e genuina dei decenni trascorsi, anche il velato rimprovero nei confronti di se stesso per aver lasciato la sua amata isola, a suo tempo incapace di adattarvisi e di scovare il possibile contributo ora invece apportatole con la sua arte, offrendo pertanto l’immagine sbagliata di un uomo che vi ritorna nella veste di freddo e distaccato critico esterno. 

Ma chi, meglio di lui, è riuscito ad allontanarsi dal certo, dallo scontato, per sperimentare sulla propria pelle un modo di vivere diverso, fatto di continue sfide che hanno, però, saputo ricompensarlo con il necessario distacco, utile ad uno sguardo disincantato? Quando noi releghiamo nel solaio i disagi della nostra isola, nascondendoli per non affrontarli; quando i collegamenti non sono efficienti e ci accontentiamo di alternative inservibili, che non possono che lasciarci dove siamo (“pigghiamu u trenu”!!!); quando ad ogni ostacolo rispondiamo “Minnifutto!”, c’è sempre lui, a ricordarci la tragica fine di quest’isola fantastica, punita e sommersa per la sua abulia, per i troppi “Minnifutto!”; a regalarci ottimismo nella proposizione fantasiosa di UTOPIA: una possibilità altra, dove il lupo cattivo della favola di Cappucetto Rosso, scampato alla punizione, piuttosto che crogiolarsi nel proprio habitat esaminando azioni crudeli e scellerate, non vada girovagando tranquillamente per le vie del borgo, come fosse esente da eclatanti reati. 

Un’isola ancora per poco in grado di accrescere il tono della propria voce, perché il suo destino possa cambiare e non sottostare alle illegalità dilaganti. L’arte non ha prezzo. E quando la si pratica con trascinante passione, non può dare altro che frutti buoni e ricchezza inesauribile: interiore e spirituale, non certamente materiale. Grazie, Gianni, per le forti emozioni, contraddittorie ma utili, fatte nascere in me.

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